lunedì 10 giugno 2013

Il canto gregoriano

Il canto gregoriano si levava profondo nell’aria, penetrando l'immobile staticità e spingendo in su il fumo delle candele e dell’incenso; voci che nascono nell’ombra, canto che cerca luce e cielo, canto immerso e impregnato nel Silenzio. Prima che l’alba si levi per riscaldare il giorno, il canto dei monaci si innalza per riscaldare le loro coscienze dal buio e dal sonno.
Unisono ricco di molte voci profonde, ritmo lento e deciso, ancestrale, come l’onda del mare sulla spiaggia, parole ancora più antiche del mare e del mondo, create, scritte e pronunciate per quegli uomini soliti a svegliarsi nel mezzo della notte in cerca di luce. Parole che salgono al cielo rischiarato dagli astri del mattino per tutti gli uomini, tramite altri uomini.
Non sempre la luce squarcia le ombre, il sonno, il peccato, ma è presente, è viva e tremante, freme e lotta per riempire di pace lo spazio, il tempo e le tenebre dell’uomo.
Silenzio.

Nuova musica, altra voce: il silenzio.
L’ascolto della sua parola senza vibrazione, della sua onnipresenza nella chiesa fa sì che la preghiera diventi dialogo. Ora è il respiro dei monaci, svelato dalle ore fredde, a salire timidamente dai loro cappucci bui.
La solitudine di uomini che si riempiono dello Spirito di ogni cosa, di ogni essere, di ogni uomo e donna, solitudine che abbraccia la relazione con il Tutto, con il Creato, con il Creatore.
Difficile, a volte terribile, vegliare nelle tenebre notturne, le sentinelle del mattino scarseggiano, anche tra gli uomini di fede. Costoro che sono intimi di Dio saranno ascoltati? Le loro lodi e le loro preghiere raggiungeranno le stelle che piano piano si spengono, pronte a lasciare spazio all’irrompere del giorno? Noi un poco anche tramite loro, otterremo un poco di pace dal Male?
Un chiarore nel silenzio si fa strada sul pavimento di pietra vecchio di secoli, una linea che si allarga sempre più, entrando da una finestra rivolta verso oriente: l’attesa è finita.
Un giorno ancora è stato concesso, il Regno ancora però non è giunto. Quanto ancora il canto e il silenzio del monaco dovranno squarciare il buio di questo mondo votato all’ingiustizia degli uomini e all’ingiustizia degli eventi, affinché il Creato e l’uomo trovino il loro compimento nel Regno promesso? Quando il Signore Dio tornerà a farsi vedere nella luce che ci riempirà tutti senza più lasciare spazio alle nostre profonde e gelose ferite? Le gole dell’anima si nascondono dal chiarore dolce e caldo che pervade ogni nostro mattino terreno.
La giornata inizia, i monaci escono piano, al suono della campana, uno a uno, in silenzio, pronti a togliersi i cappucci per riscaldare il viso con il raggio di sole che timidamente è nato. Ma sono pronti per il giorno dopo ad attendere la luce, un’altra luce, speranza rinnovata in un giorno senza notte, senza buio, senza fine.

Ogni giorno si staglia l’assemblea dei monaci, roccaforte del Silenzio, elevatasi su di un monte che spunta dalla coltre poco chiara, miscellanea di smog, di cemento e di vociare confuso delle antenne televisive.
Nella mia strada c’è troppo rumore, nella mia testa c’è troppa confusione e torpore: se il Regno è giunto spero che gli Uomini del Silenzio siano riusciti a sentirne le trombe festanti.

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