domenica 21 dicembre 2014

La Saga dell'Anello: di fronte a P. Jackson e a J.R.R. Tolkien - parte 1


Si avvicina il momento in cui anch'io, come tanti appassionati, prima dei libri e poi delle trasposizioni cinematografiche, entrerò in una sala cinematografica e vedrò l'ultimo capitolo della "Saga dell'Anello" jacksoniana (come ormai ha preso nome il corpo di sei film del regista Peter Jackson sulle vicende del finire della Terza Era della mitologia creata da J.R.R. Tolkien), La Battaglia delle Cinque Armate. L'ultimo in assoluto della sua grande opera per mettere su pellicola il Mondo di Arda (a quanto pare è impossibile sperare in una trasposizione, anche parziale, de Il Silmarillion).

Non so a cosa andrò incontro entrando in quella sala, non so cosa mi darà (più) fastidio o cosa mi farà stupire e meravigliare, ma so di sicuro che ne uscirò deluso, almeno un po'. Già. Come per i precedenti cinque film. E non voglio nascondermi o negare questo sentimento nell'andare a vedere comunque il film.
Ricordo ancora come anni fa, quando andai a vedere per la prima volta "La Compagnia dell'Anello" entrai pieno di entusiasmo e di aspettative e ne usci defraudato di un qualcosa... sensazione che si è ripetuta per tutti i successivi film della Saga dell'Anello, salvo rivederli e amarli più volte a casa con le cassette home video o i DVD extended edition.

E costui chi è?
"Ma allora perché ci vai? Perché li guardi?", mi si potrebbe chiedere. Ebbene, ecco la risposta.

Peter Jackson non è fedele al libro, ha preferito alcuni temi rispetto altri, in genere ha dato molto più spazio a un epos eroico di stile "hollywoodiano" che a quello tolkeniano (più ne Lo Hobbit che ne Il Signore degli Anelli), che invece prevede il rifuggire la guerra e l'acquisire la salvezza attraverso la forza dei piccoli, degli umili; nei primi due film de Lo Hobbit il contrasto tra un Bilbo che preferisce esser scaltro con le parole e col sacrificio e i 13 nani presuntuosi e battaglieri lascia spazio maggiormente a quest'ultimi dipingendo un quadro a tinte sproporzionate rispetto a Tolkien; non parliamo di scene di battaglie allargate a dismisura o create ex novo, come durante la fuga nei barili tra elfi, nani e orchi che se le danno di santa ragione tra mille acrobazie. Tolkien non è questo, Tolkien è Bilbo che cerca di farla franca a Smaug con le parole, è Bilbo che "tradisce"  i suoi compagni e ruba l'Archengemma per evitare una guerra senza senso, è Samvise che umilmente si fa consigliare dai più saggi e mette il suo padrone davanti al suo orgoglio e tornaconto personale... Tolkien non ha nascosto le battaglie e le azioni di coraggio "classiche", epiche, prendendo spunto dalla mitologia norrena che amava e studiava, ma queste sono in un secondo piano nella costruzione morale e ideale dei romanzi: la Battaglia ai Cancelli Neri di Mordor sarebbe inutile e incomprensibile senza Sam che trascina Frodo sull'orlo del Monte Fato per gettare l'anello: Aragorn non cerca gloria in un sacrificio militare, in un gesto eroico, ma nel permettere a due piccoli hobbit di portare a termine la loro missione. Nel Signore degli Anelli la cosa si sopporta meglio per la trama di per sè più sbilanciata rispetto a Lo Hobbit (basti pensare al personaggio di Sam appunto, impossibile da ridurre) e per aver caratterizzato Aragorn come un personaggio riluttante a governare perché timoroso del male del potere (ecco, in ciò, pur cambiando, Jackson è rimasto fedele!).
Altri hanno scritto meglio di me la contrapposizione tra eroe epico classico, tentato dal peccato di hybris, e l'eroe tolkeniano, quindi per approfondire vi rimando a migliori esperti.

Perciò, in cosa Peter Jackson cattura l'amante comune di Tolkien, anche quello che ha divorato i libri? Perché amare e rivedere più volte i capitoli della Saga dell'Anello?
Perché Jackson è un abile "traduttore-giocattolaio" che poi gioca con le sue opere: ha stravolto spesso il testo ma è riuscito a rimanere fedele a quelle descrizioni culturali, sociali, geografiche e ambientali che Tolkien ha trasmesso ai suoi lettori. Certo, non c'è riuscito tutto da solo, si è circondato di esperti, autori, studiosi, linguisti, illustratori, artigiani e musicisti (Howard Shore ha contribuito parecchio per il successo della Saga) che sapevano il fatto il loro: le scelte che ha fatto non sono dovute da ignoranza o superficialità, ma sono consapevoli dopo un lungo e attento lavoro di filologia e di studio dell'opera tolkeniana. Jackson mente sapendo di mentire, ma è così profondamente attento ai dettagli da creare la Contea, Casa Baggins, la lotta tra Gandalf e il Balrog, il Tesoro di Smaug e il Reame Boscoso come uno poteva immaginarseli. Chi ha letto il libro prova questa mista confusione: "Ma... non è così, ma richiama perfettamente l'originale!".
Per farmi meglio capire uso una citazione di Paolo Pecere:
Tolkien (non diversamente da Proust) rifletteva sulla potenza dei nomi; Jackson vuole giocare con i soldatini giganti. 
Jackson ha quindi fatto due lavori: prima ha ricostruito il mondo tolkeniano e i suoi abitanti egregiamente (qui sta il suo merito! Incredibile come ci sia riuscito) e poi ha usato questa enorme "miniatura" (scusate l'ossimoro), questo enorme giocattolo, per giocarci! Non vi è mai capitato da piccoli di comprare le miniature di un cartone animato o di un film e di giocarci? Magari ripercorrevate le stesse scene imparate a memoria guardandole sullo schermo, ma ci mettevate del vostro, rimanendo fedeli e tradendo allo stesso tempo quelle storie. 

C'è poco da ridere Evangeline!
Ecco la Saga dell'Anello di Peter Jackson è un grande inno di un grande fan e amante dell'opera tolkeniana, ma è anche un grande gioco di un neozelandese nerd che si è gasato, direi inebriato di poter giocare (con i soldatini, appunto), inventare con quella materia derivante dalle opere tolkeniane. È una grande opera di ammirazione-imitazione. E noi altrettanto ammiratori di Tolkien godiamo del suo gioco non tanto per come "muove" le figurine, perché le muove in maniera diversa da quello letto nei libri, ma per le stesse figurine e gli ambienti costruiti, che ricalcano molto bene nel profondo e fedelmente ciò che si legge in Tolkien.

Ricapitolando. Jackson attua sull'opera mitologica tolkeniana due lavori:
1) REALIZZAZIONE (fisica e spirituale) DI TERRE, CULTURE E PERSONAGGI: bravo Peter, qui tu e i tuoi amichetti ci piacete assai! Non c'è dubbio, resa non scontata e superba! Grazie di cuore!
2) RICOPRIRE IL RUOLO DEL BURATTINAIO: ecco, qui, un po' meno... hai creato dei bellissimi giocattoli, ma li fai muovere a volte tradendo i testi e le intenzioni di chi li ha creati decenni fa con la propria mente, il caro buon vecchio Tolkien.

Al momento il mio giudizio sulle due parti si esprime vedendo come bene o male la fase 1 regga in entrambe le trilogie, anche se ritengo che ne Lo Hobbit abbiamo avuto una minore cura e fedeltà... In questi ultimi tre-cinque anni sembra che ci si sia preoccupati non tanto di accontentare i fan dei libri (dieci anni fa era facile e scontato visto che esistevano solo loro, dovendo iniziare la trasposizione cinematografica della Saga) ma i fan della trilogia precedente... ma si sa, la copia di una copia non fa una bella figura...
Ma qui mi fermo, non vado oltre! Anzi andrò al cinema per rendermi maggiormente conto come debba leggersi non solo la trilogia de Lo Hobbit ma l'intera saga.

Intanto, namaarie mellon!

domenica 14 dicembre 2014

Avvento elettorale: Matteo Salvini ha ragione!

Devo dar atto a Matteo Salvini che stavolta ha ragione!! Eh sì! Quando ci vuole ci vuole, e bisogna riconoscerglielo!
Sono pienamente d'accordo a mantenere il presepe nelle scuole primarie: è parte della cultura e tradizione italiana, con una storia antica e sempre nuova piena di significati e valori importanti. Anzi, io proporrei ai bambini di farlo tutti insieme in un'ora di lezione con l'insegnante che spiega alcuni di questi bellissimi aspetti.

Per esempio:
1) protagonista è una famiglia migrante, mal vista in patria per i pregiudizi sulla strana e presunta gravidanza extraconiugale di Maria;
2) a Betlemme subiscono l'egoismo e l'ipocrisia di chi non si accorge del bisogno di una ragazza di 15-16 anni in prossimità dei giorni del parto, relegandoli in una mangiatoia;
3) il potere politico (Re Erode) si accorge di loro solo quando diventano una presunta minaccia da cancellare, altrimenti, tanti saluti;
4) diventano emigranti per motivi politici: dovranno scappare e chiedere asilo politico in un Paese straniero (l'Egitto);
5) tra i principali personaggi ci sono gli abbandonati e snobbati da tutti all'epoca: i pastori, ma è proprio a loro che l'angelo si mostra e rivela la Buona Notizia;
6) il presepe racconta la nascita di Chi ha trasformato un messaggio di Salvezza destinato solo a un popolo, quello ebraico, in un messaggio universale per tutti i popoli della Terra, senza distinzioni di etnia e cultura;
7) un formidabile incontro tra culture diverse attraverso il misterioso viaggio dei Re Magi venuti da Oriente;
8) il presepe è stato inventato da un uomo che predicava perdono e pace per chiunque, lupo o saraceno che fosse: san Francesco;
9) nel corso dei secoli il presepe si è arricchito sempre più di influenze e rivisitazioni culturali, dal nord Europa a quelli napoletani, da quelli africani a quelli andini, tutti uguali ma tutti diversi: è al suo interno un mix di varietà e anticonformismo (dai su! Credete davvero alla neve in Palestina?)

Insomma, facendo insieme ai bambini il presepe in classe, spiegando bene loro cosa racconta, si seminerebbero quei buoni valori (universali, non solo cristiani o italiani, non di sicuro "padani") che forse alla Lega non interessano ma faranno capire ai cittadini di domani quanto sia ridicolo, dannoso e ignorante dare il proprio voto a gente come Matteo Salvini.

giovedì 13 marzo 2014

Che il VENTO possa soffiare forte!


Martedì 11 marzo 2014 al Cecchi Point di Torino ho avuto il piacere di vedere il film-documentario della Stuffilm che racconta il viaggio di otto giorni, con quindici tappe, dell'ing. Paolo Pileri e del suo team, partiti da Torino fino a Venezia. Un viaggio di 650km. In bici.
Sì, perché l'ing. Pileri e i suoi quattro compagni di viaggio, sono promotori da anni di un progetto del Politecnico di Milano che si chiama VENTO (dall'acronimo Ven.To., cioè Venezia - Torino), che si ripromette di dotare all'Italia della più grande (e forse prima) dorsale cicloturistica, tutta interamente dispiegata sulle rive del nostro fiume più lungo, il Po.
l'ing. Paolo Pileri durante la discussione
Come Pileri raccontava nella discussione a fine proiezione, in Italia non vi sono strutture del genere per il cicloturismo, una forma di turismo che in altri Paesi frutta molto lavoro e molti soldi: basti pensare che in Germania - così ha continuato Pileri - esso ha creato 300000 posti di lavoro e produce 4 miliardi di Euro all'anno. Sì, 4 miliardi. Pileri calcola che il progetto VENTO, se realizzato (e realizzato bene!), può produrre 2000 posti di lavoro, non solo direttamente impiegati sulla dorsale ciclabile, ma anche nell'indotto della manutenzione, della ristorazione, dell'accoglienza e dei servizi di guida e assistenza ai cicloturisti. Non di certo bruscolini di questi tempi in cui si preferisce di investire su moltissimi tanti progetti forse inconcludenti e che non avranno né benefici economici, né ambientali. Pilieri diceva, sempre durante la discussione, che per rendere la dorsale VENTO operativa, accogliente, senza barriere architettoniche, uniforme da regione a regione per cartellonistica, indicazioni e informazioni, ci vuole un finanziamento equivalente a quello per costruire pochissimi chilometri di autostrada.
Il viaggio è servito soprattutto per testimoniare la fattibilità del progetto, per promuoverle a livello nazionale e nelle diverse tappe in cui il team si è soffermato (Alessandria, Modena, Piacenza, Pavia, Ferrara sono solo alcune), ma è stato soprattutto un modo per (ri)scoprire una valle (quella del Po) che ormai è andata perduta, territori e luoghi di antiche e rare bellezze, che oggi vengono trascurati sia dalle amministrazioni (perfino nella cura di argini e terreni) che dai "cittadini" comuni; sono rimasti in pochi coloro che "vivono" il Po, con le sue bellezze e la sua storia.
Un momento del film-documentario al Cecchi Point
Io non posso non dirmi legato a questo fiume: una parte della mia famiglia, quella che mi ha dato il cognome che porto, arriva da Ferrara, piccola-grande capitale del Po (visitata, insieme ai paesini vicino, in sella alla mia bici in una ricerca di origini, qualche anno fa); io sono nato e mi sento torinese, che invece è la grande-piccola capitale del Po. Insomma, sarà perché qualcosina di questi luoghi ho potuto già assaporare, ma sono fermamente convinto che il progetto di Paolo Pilieri sia un progetto vincente, prima di tutto nella formula e nella scelta di stile di vita: una vita forse più lenta ma più dilatata, forse più faticosa ma più salutare, forse più essenziale ma meno superficiale. Una vita che può testimoniare che la velocità non è saporita quanto il lento avvicinarsi delle tappe, dei campanili, dei canali e dei passanti.

Se state leggendo questo post vi do perciò qualche compito a casa (o in ufficio, o sullo smartphone, insomma, vedete voi...): vi invito a leggere meglio il progetto qui, di vedere il trailer del film sopra (e magari poi comprarlo qui) e poi di fare una sottoscrizione al progetto per aiutare i nostri amici, qui (sia che tu sia un singolo cittadino o un'associazione).
Vi chiedo troppo? Non credo... dai, staccati un attimo da facebook e sogna anche tu un modo diverso (forse più coraggioso) per gustare luoghi, arte, relazioni e bicicletta!

P.S.: il 26 marzo 2014, alla stazione Porta Nuova di Torino, il team di Paolo Pileri sarà al binario 1 con l'iniziativa TRENO VERDE 2014 per presentare il progetto VENTO!

mercoledì 5 marzo 2014

Diario americano: 9 giorni negli States, 10 cose da raccontare

Premessa fondamentale: sono stato solo in due città degli States, e due città tra l'altro molto rappresentative ma anche particolari, Boston e New York City (mi raccomando, sempre mettere quel "City", altrimenti gli americani vanno in confusione rispetto lo Stato di New York!). Quindi la mia finestra su questo "mondo" si limita a questo orizzonte.

Premessa fondamentale numero due: ho visto "la Merica" in nove giorni, da turista, vivendola un po' ospitato dal mio amico di avventure a Boston e dormendo (per così dire) in un ostello a NYC (ecco, così è più breve da scrivere...).

Detto ciò, cosa mi porto dietro di quello che ho vissuto, di quello che notato, cosa mi ha talmente incuriosito di quell'enorme set cinematografico che sono gli States? Proviamo un poco a "puntualizzare"!

1) Ciak si gira!

Sì, è proprio così. Appena arrivati, usciti dall'aeroporto è proprio quella la sensazione che ti acchiappa: sembra di essere entrati in un film. I cartelli stradali totalmente diversi, i grattacieli che si stagliano all'orizzonte, i tombini che buttano fuori il fumo, i caratteristici idranti, la caserma dei pompieri in mattoni, le auto della polizia che sfrecciano con la sirena che si è tante volte sentita al cinema (o in GTA), odori di fast food nell'aria, le uniformi degli agenti per strada, le casette di legno familiari a due piani, facce e sguardi di tutti i colori, stili e provenienza... welcome in the USA.

2) La sensazione del calzino.
Il cartello di benvenuto mentre sei nel "limbo", appena sceso dall'aereo e prima dei controlli
Se appena varcata la porta dell'aeroporto scopri che l'americano della strada non è poi così antipatico come immagineresti (perfino cordiale!), sfatando alcuni luoghi comuni, prima però, appena sceso dall'aereo, ti senti accolto... con riserva! Ti rivoltano, ti controllano e ti schedano. Non solo ti devi presentare con un passaporto elettronico (in cui sono inserite in un microchip interno le tue impronte digitali), ma ti chiedono l'ESTA ("Electronic System for Travel Authorization", un'autocertificazione online da fare prima della partenza in cui dichiarare candidamente che non sei un terrorista o un trafficante di droga, ecco qui le domande che troverete un giorno se dovrete compilarlo), ti riprendono le impronte digitali, te le confrontano e ti scattano una foto segnaletica... controlli serrati ripetuti poi anche all'imbarco per lasciare gli States! Mania tutta americana, comprensibile e ancora rimasta ben accesa a causa per del perenne trauma 11 settembre.

3) Le proporzioni... contano!

È inutile. Si possono spendere mille parole sulla città americana, ma la cosa che conta e che pesa maggiormente è questa: le proporzioni sono ESAGERATE! Discorso da provincialotto italiano? Può darsi, ma in confronto il grattacielo nuovo della Intesa SanPaolo è un condominio di periferia. Entri in questo labirinto urbano e ti viene più naturale il guardare cosa c'è in alto (spesso senza vederlo fino in cima) del cosa c'è in fondo... Se le nostre città si sono sviluppate nel Rinascimento col mito della prospettiva in profondità, loro le stanno costruendo da tre secoli con una prospettiva in altezza.

4) Rottamatori di professione.
Gli Statunitensi vincerebbero qualunque gara di rottamazione del vecchio (o dell'appena vetusto). Boston, una delle città più "antiche" degli States (fondata nel 1630 da coloni puritani inglesi in fuga dalle persecuzioni religiose della loro madrepatria), ha mantenuto pochissimi palazzi dell'epoca coloniale e solo perché inerenti allo scoppio della Rivoluzione americana, come ad esempio la Old State House, il palazzo del governatore inglese del New England... peccato che siano affiancati e soffocati da enormi grattacieli alti dieci volte tanto.
La Old State House di Boston

5) E Dio creò gli americani...
...con due mani! Come tutti, direte voi... sì, ma qui questi due arti, che l'evoluzione della specie ci ha donato coi rispettivi pollici opponibili, hanno acquistato nuove funzioni e una missione ben precisa: l'americano non può girare per la strada, nella metropolitana, nei negozi, ecc... senza tenere in una mano uno smartphone (per il 90% della Apple) e nell'altro un bicchiere di cartone con dentro una qualsivoglia brodaglia, dal caffè lungo a un miscuglio marroncino di caffè e crema di latte che loro, per qualche motivo sconosciuto, chiamano "cappuccino". Incredibile la capacità di equilibrio, vista anche la necessità di multitasking dello smartphone e il bicchiere ustionante riempito fino all'orlo.

  


6) Gli americani amano la cultura
Jasper Johns, "Flag", al MoMa di New York City
Provate a entrare nel MoMa o al Metropolitan Museum di NYC con l'intento di vedere tutto... se ci riuscite avrete qualcosa da raccontare ai nipotini! Sfatiamo un luogo comune: negli USA si può viaggiare per ammirare e gustare tanta, ma tanta cultura.
Negli Stati Uniti si sa, lo Stato finanzia pochissime realtà e servizi sociali (per esempio la sanità, anche dopo la riforma Obama, rimane prevalentemente privata); ma sulla cultura non scherzano, e così se entrate nelle biblioteche pubbliche di Boston e NYC troverete palazzi pieni di arte e servizi per la consultazione pubblica di un enorme catalogo. Il MET è gestito dalla città di New York ed è a offerta consigliata di 25$, ma nulla vi vieta di metterne solo 5 (o quanto volete) se decidete di farne solo una parte. Inoltre qui sembra che il sistema di finanziamento privato dei musei (anche grazie a fondazioni di donazioni) funzioni, tanto che se visitate le raccolte dell'espressionismo presenti al MoMa e al Metropolitan di NYC, vi mancherebbe solo una visita al Louvre di Parigi per avere un panorama quasi completo di questa corrente artistica.


7) Central Park è da visitare perfino d'inverno!

Banalità? Può darsi, ma se la prima cosa che ho visitato a New York City è proprio questa ENORME zona verde, con i suoi boschetti, le sue collinette e i suoi laghetti, di sicuro non potevo avere migliore "benvenuto" nella grande mela... Un mondo a parte, che rispecchia pienamente il gioco dei contrasti di cui gli Stati Uniti sono campioni: un luogo dove respirare aria pulita e riempirsi gli occhi di natura (con tanto di scoiattoli, procioni e paperelle) nel cuore della metropoli simbolo del pianeta. Un grande spazio dove gli americani danno sfogo a una delle loro manie preferite: il jogging. Possono anche esserci 6 gradi sottozero ma ci sarà sempre qualcuno che si metterà a correre sulla neve coi pantaloncini corti, con 20 o 60 anni non importa, qui è proprio una fissazione!
Concludendo, non importa in che stagione visitiate NYC, dovete andare e passare qualche ora a Central Park!

8) Non si possono capire gli Stati Uniti senza la loro musica.

Un'automobile ad Harlem con l'adesivo della campagna elettorale OBAMA-BIDEN
Una domenica passata a NYC nei posti giusti può farti capire cosa veramente gli States hanno di caratteristico... in un Paese dove perfino l'architettura sembra copiata dal Vecchio Continente (le diverse chiesette in stile neogotico ne sono un esempio), la musica rimane il più grande prodotto culturale originale americano.
Non puoi capire l'Italia senza capire la sua arte rinascimentale, non puoi capire gli States senza le note delle sue tradizioni musicali. Perciò se alla mattina ho assistito a una Messa gospel in una "Black Church" ad Harlem, la sera a Terra Blues (il locale blues più famoso della città) ho potuto capire il collegamento diretto e spregiudicato tra il gospel e il blues, ascoltando Michael Hill e la sua band. Più che entrare in un fast food o in un negozio per dar sfogo a certi appetiti consumistici, se andate negli Stati Uniti aprite le orecchie e assaporate l'America cercando un locale che vi proponga buone note.

9) Il simbolo (e non solo) più forte degli Stati Uniti rimane...
...il dollaro. Luogo comune? Forse, ma confermato. Qui la sensazione è che tutto sia finalizzato solo ad una cosa: far girare il cash. Bisogno di un bancomat? No problem, lungo una strada ne troverai diversi. Non trovi il bancomat? No problem, ogni negozio, anche per prezzi ridicoli intorno ai 5$ ti faranno usare la tua card. Non hai card o cash... beh, allora hai un problema.

10) In fin dei conti, da noi non si sta tanto male...
Le due anime di Wall Street, le due anime della città USA
Già, per noi gli Stati Uniti sono dalla fine della Seconda Guerra Mondiale il modello a cui tendere, l'eccellenza del mondo occidentale, per sviluppo, benessere e democrazia... o almeno, per l'opinione più diffusa. Ma ne siamo sicuri? Di sicuro la cortesia, il grande pragmatismo e un'organizzazione invidiabile sono punti di forza da ammirare di questo sistema; ma la povertà diffusa, la carenza di servizi sociali (tanto che prima di partire ti devi fare un'assicurazione medica temporanea se non vuoi avere problemi), la carenza (forse solo e del tutto del turista italiano) di cibo buono a prezzo discreto, mi fanno pensare che in Italia stiamo affossando un modello sociale che, benché in crisi, può dirsi migliore di quello statunitense. Mi è capitato di chiacchierare con una ragazza del servizio di sala al Metropolitan Museum di NYC (la guardiasala, tanto per intenderci): 12 ore di lavoro, pagate poco, senza la mutua, senza potersi sedere, tutti i giorni, sabato e domenica compresi. È questo a cui miriamo? Un viaggio ha anche questa capacità: farti capire non solo cosa va male a casa tua, ma anche cosa si deve salvare.

ESTA: Esagerate Statunitensi Trovate Antiterrorismo

Ecco qui, per farsi due risate, ma anche per prepararsi alla sua compilazione, le domande un po' assurde che il governo degli Stati Uniti ti chiede di rispondere prima di entrare nei suoi confini nazionali. Si raccomanda di compilare l'ESTA almeno 72 ore prima dell'ingresso negli States. Maggiori informazioni nel relativo sito (con una parte anche in italiano).


A) Ha mai sofferto di malattie infettive? Di disturbi fisici o mentali? Ha mai fatto abuso di droghe o è mai stato tossicodipendente? * No
Malattie contagiose
Ai sensi delle leggi degli Stati Uniti, le malattie contagiose che riguardano la salute pubblica sono:
  • Ulcera molle
  • Gonorrea
  • Granuloma inguinale
  • Lebbra, infettiva
  • LGV (linfogranuloma venereo)
  • Sifilide, fase infettiva
  • Tubercolosi, attiva
  • Altre malattie specificate dal Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani.  
Disturbi fisici o mentali
Per quanto riguarda i disturbi fisici o mentali, rispondere ”Sì” a questa domanda se:
(a) Si soffre attualmente di un disturbo fisico o mentale e se il comportamento associato al disturbo potrebbe rappresentare, o ha rappresentato, una minaccia alla proprietà, alla sicurezza o al benessere di se stessi o di altri; o
(b) Si è sofferto di un disturbo fisico o mentale e se il comportamento precedentemente associato al disturbo, che ha rappresentato una minaccia alla proprietà, alla sicurezza o al benessere di se stessi o di altri, potrebbe ripetersi o condurre ad altri comportamenti dannosi.
Rispondere ”No” se:
(a) Attualmente non si soffre di alcun disturbo fisico o mentale; o
(b) Si è sofferto in passato di un disturbo fisico o mentale, senza un comportamento associato al disturbo che potrebbe rappresentare, o ha rappresentato, una minaccia alla proprietà, alla sicurezza o al benessere di se stessi o di altri; o
(c) Si soffre attualmente di un disturbo fisico o mentale, con comportamento associato, ma tale comportamento non ha mai comportato, non comporta ora, né comporterà in futuro, una minaccia alla proprietà, alla sicurezza o al benessere di se stessi o di altri; o
(d) Si è sofferto in passato di un disturbo fisico o mentale, con un comportamento associato al disturbo che ha precedentemente rappresentato una minaccia alla proprietà, alla sicurezza o al benessere di se stessi o di altri; comunque è molto improbabile che tale comportamento si ripeta.
Abuso di droghe e tossicodipendenza
Ai sensi delle leggi degli Stati Uniti, coloro che abusano di droghe o che sono tossicodipendenti potrebbero non essere ammessi.
Per ulteriori informazioni, fare riferimento a § 212(a)(1)(A) della Legge sull'Immigrazione e la Nazionalità, 8 U.S.C. § 1182(a)(1)(A) e alle normative corrispondenti nel Codice dei Regolamenti Federali.
B) È mai stato arrestato o condannato per aver commesso un’infrazione o un reato contro la morale, o per una violazione relativa a sostanze stupefacenti? È mai stato arrestato o condannato per due o più reati diversi, per i quali la durata complessiva della detenzione sia stata pari a cinque o più anni? Oppure è mai stato coinvolto nel traffico di stupefacenti? Oppure sta cercando di entrare negli Stati Uniti per partecipare ad attività immorali o criminali? * No
C) È stato in passato, o è ora, coinvolto in attività di spionaggio o sabotaggio, o in azioni terroristiche? O in genocidio? Oppure, tra il 1933 e il 1945 è stato coinvolto, in alcun modo, nelle persecuzioni intraprese dalla Germania nazista o dai suoi alleati? * No
D) Sta cercando lavoro negli Stati Uniti? Oppure è mai stato escluso o deportato dagli Stati Uniti? Oppure è stato in passato rimosso dagli Stati Uniti o ha ottenuto, o cercato di ottenere, un visto o un permesso di ingresso negli Stati Uniti tramite frode o dichiarazione falsa? * No
E) Ha mai trattenuto o detenuto un minore, sottraendolo alla custodia di un cittadino statunitense al quale il bambino era stato affidato legalmente? * No
F) Le è mai stato rifiutato il visto o l’ingresso negli Stati Uniti? Oppure Le è mai stato annullato il visto per gli Stati Uniti? * No
G) Ha mai richiesto immunità a causa di persecuzione? * No
Per quanto riguarda l’immunità dai procedimenti giudiziari, rispondere “Sì” alla domanda se:
(a) si è responsabili di un reato penale grave negli Stati Uniti, ai sensi dell’art. 8 U.S.C. Sec. 1101(h), compresi crimini per cui sia stata esercitata l’immunità dalla giurisdizione penale; e
(b) sono stati lasciati gli Stati Uniti a seguito della violazione e dell’esercizio dell’immunità di cui al punto (a); e
(c) non ci si è sottoposti interamente alla giurisdizione della corte statunitense competente in merito a tale reato.
Per ulteriori informazioni, fare riferimento a § 212(a)(2)(E) e 101(h) della Legge sull’Immigrazione e la Nazionalità, 8 U.S.C. § 1182(a)(2)(E) e 1101(h).

venerdì 7 febbraio 2014

Il Lago D'Aral, ovvero il costo dello sviluppo umano

Dopo ore di macchina arrivi a Moynaq, la città costiera, famosa perché antico approdo della "via della seta"; ma anche per l'inscatolamento del pesce, che i pescatori prendevano al Lago salato, per sfamare loro e le loro famiglie. Siamo nelle leggendarie terre vicino a Samarcanda, terre di steppe e di antichi racconti. Appena arrivati, trovi ad accoglierti una grossa insegna col nome della città, scritta in caratteri cirillici, una strana reminiscenza d'Europa in questa lontana terra d'Asia. Sotto la scritta la grande immagine di un pesce che salta fuori dal lago. Di navi, a Moynaq, ce ne sono ancora parecchie, tutte vecchie, abbandonate, incrostate dal sale e dal tempo, senza vita e senza porto in cui approdare. Già, senza porto. Non è un'espressione poetica di vecchi studi classici: a Moynaq manca letteralmente il porto. Le navi stanno lì, ferme, appoggiate placidamente sul terreno salino che un tempo accoglieva mare, pesci e pescatori. Se prendete una qualsiasi cartina o un qualunque mappamondo e cercate in Asia il Lago d'Aral, vedrete sì un immenso lago salato chiuso, ma in realtà quel mare non esiste più. Oggi il Lago d'Aral si è ridotto del 90% della sua originaria estensione e la sua più importante città portuale oggi dista centinaia di chilometri dall'attuale costa. L'intero bacino salato è un sinistro paesaggio apocalittico dove giacciono antichi relitti ritornati alla luce del sole con quelli nuovi, che non videro mai le profondità del mare, ma che semplicemente furono abbandonati lì, ad aspettare che il mare si prosciugasse, per toccare il fondo.


Dopo la Seconda Guerra Mondiale l'Uomo segnò il destino del Lago d'Aral: il sovietico Grigory Voropaev divenne il capo di un progetto di " riqualificazione" (mai parola fu più abusata) agricola della zona. Egli cercò di potenziare la produzione di cotone fino a rendere la vecchia repubblica sovietica (oggi Stato indipendente) dell'Uzbekistan il secondo produttore di cotone dopo gli Stati Uniti. Solo che per fare ciò si doveva "serenamente far scomparire il Lago d'Aral", perchè per potenziare tale coltura c'era bisogno di deviare gli unici due affluenti di questo mare lontano da ogni oceano. Così, a detta sua, si corresse "un errore della natura", usando le acque dei fiumi per l'agricoltura e i grandi acquitrini ricavati dal ritirarsi delle acque per la coltivazione del riso. Peccato che il Lago d'Aral, a differenza del suo nome, sia un mare. Così non acquitrini, ma distese di sale vennero scoperte ai rigidi venti dell'Asia centrale, venti che riuscirono a portare sostanze saline fin su nelle cime dell'Everest. E non solo quello.
L'Uomo nel correggere gli errori della Natura, volle sforzare in ogni modo la coltivazione di quelle terre, con pesticidi e prodotti chimici, fino ad avvelenare non solo quelle zone ma anche quelle vicine. Ci fu un ridursi del Lago e un aumento delle malattie respiratorie e renali.
L'Uomo si è creduto talmente tanto all'altezza di Dio - o proprio libero dalla sua presenza per fare quello che vuole - da vedere quella grande area anche come un luogo idoneo dove sperimentare ordigni di difesa/offesa militare. In questo caso, trattandosi dell'URSS, di ordigni atomici. Sulla ormai scomparsa isola di Vozroždenie vi era una delle più segrete basi militari sovietiche. L'Uomo in tal modo riuscì a cambiare ancora più profondamente la Natura grazie alle radiazioni degli esperimenti atomici. Peccato che l'Uomo stesso faccia parte di questa Natura, di cui ne subisce gli stupri e i tumori. Riusciremo a riempire di nuovo contenuto e di nuova forma i concetti ottocenteschi ormai trapassati di "progresso" e di "modernità"? Riusciremo a rimediare e a riempire nuovamente di vita il Lago D'Aral?

[modificato e riscritto da un articolo già pubblicato in REGGIAMOCI FORTE! http://reggiamociforte.blogspot.it/ ]