domenica 21 dicembre 2014

La Saga dell'Anello: di fronte a P. Jackson e a J.R.R. Tolkien - parte 1


Si avvicina il momento in cui anch'io, come tanti appassionati, prima dei libri e poi delle trasposizioni cinematografiche, entrerò in una sala cinematografica e vedrò l'ultimo capitolo della "Saga dell'Anello" jacksoniana (come ormai ha preso nome il corpo di sei film del regista Peter Jackson sulle vicende del finire della Terza Era della mitologia creata da J.R.R. Tolkien), La Battaglia delle Cinque Armate. L'ultimo in assoluto della sua grande opera per mettere su pellicola il Mondo di Arda (a quanto pare è impossibile sperare in una trasposizione, anche parziale, de Il Silmarillion).

Non so a cosa andrò incontro entrando in quella sala, non so cosa mi darà (più) fastidio o cosa mi farà stupire e meravigliare, ma so di sicuro che ne uscirò deluso, almeno un po'. Già. Come per i precedenti cinque film. E non voglio nascondermi o negare questo sentimento nell'andare a vedere comunque il film.
Ricordo ancora come anni fa, quando andai a vedere per la prima volta "La Compagnia dell'Anello" entrai pieno di entusiasmo e di aspettative e ne usci defraudato di un qualcosa... sensazione che si è ripetuta per tutti i successivi film della Saga dell'Anello, salvo rivederli e amarli più volte a casa con le cassette home video o i DVD extended edition.

E costui chi è?
"Ma allora perché ci vai? Perché li guardi?", mi si potrebbe chiedere. Ebbene, ecco la risposta.

Peter Jackson non è fedele al libro, ha preferito alcuni temi rispetto altri, in genere ha dato molto più spazio a un epos eroico di stile "hollywoodiano" che a quello tolkeniano (più ne Lo Hobbit che ne Il Signore degli Anelli), che invece prevede il rifuggire la guerra e l'acquisire la salvezza attraverso la forza dei piccoli, degli umili; nei primi due film de Lo Hobbit il contrasto tra un Bilbo che preferisce esser scaltro con le parole e col sacrificio e i 13 nani presuntuosi e battaglieri lascia spazio maggiormente a quest'ultimi dipingendo un quadro a tinte sproporzionate rispetto a Tolkien; non parliamo di scene di battaglie allargate a dismisura o create ex novo, come durante la fuga nei barili tra elfi, nani e orchi che se le danno di santa ragione tra mille acrobazie. Tolkien non è questo, Tolkien è Bilbo che cerca di farla franca a Smaug con le parole, è Bilbo che "tradisce"  i suoi compagni e ruba l'Archengemma per evitare una guerra senza senso, è Samvise che umilmente si fa consigliare dai più saggi e mette il suo padrone davanti al suo orgoglio e tornaconto personale... Tolkien non ha nascosto le battaglie e le azioni di coraggio "classiche", epiche, prendendo spunto dalla mitologia norrena che amava e studiava, ma queste sono in un secondo piano nella costruzione morale e ideale dei romanzi: la Battaglia ai Cancelli Neri di Mordor sarebbe inutile e incomprensibile senza Sam che trascina Frodo sull'orlo del Monte Fato per gettare l'anello: Aragorn non cerca gloria in un sacrificio militare, in un gesto eroico, ma nel permettere a due piccoli hobbit di portare a termine la loro missione. Nel Signore degli Anelli la cosa si sopporta meglio per la trama di per sè più sbilanciata rispetto a Lo Hobbit (basti pensare al personaggio di Sam appunto, impossibile da ridurre) e per aver caratterizzato Aragorn come un personaggio riluttante a governare perché timoroso del male del potere (ecco, in ciò, pur cambiando, Jackson è rimasto fedele!).
Altri hanno scritto meglio di me la contrapposizione tra eroe epico classico, tentato dal peccato di hybris, e l'eroe tolkeniano, quindi per approfondire vi rimando a migliori esperti.

Perciò, in cosa Peter Jackson cattura l'amante comune di Tolkien, anche quello che ha divorato i libri? Perché amare e rivedere più volte i capitoli della Saga dell'Anello?
Perché Jackson è un abile "traduttore-giocattolaio" che poi gioca con le sue opere: ha stravolto spesso il testo ma è riuscito a rimanere fedele a quelle descrizioni culturali, sociali, geografiche e ambientali che Tolkien ha trasmesso ai suoi lettori. Certo, non c'è riuscito tutto da solo, si è circondato di esperti, autori, studiosi, linguisti, illustratori, artigiani e musicisti (Howard Shore ha contribuito parecchio per il successo della Saga) che sapevano il fatto il loro: le scelte che ha fatto non sono dovute da ignoranza o superficialità, ma sono consapevoli dopo un lungo e attento lavoro di filologia e di studio dell'opera tolkeniana. Jackson mente sapendo di mentire, ma è così profondamente attento ai dettagli da creare la Contea, Casa Baggins, la lotta tra Gandalf e il Balrog, il Tesoro di Smaug e il Reame Boscoso come uno poteva immaginarseli. Chi ha letto il libro prova questa mista confusione: "Ma... non è così, ma richiama perfettamente l'originale!".
Per farmi meglio capire uso una citazione di Paolo Pecere:
Tolkien (non diversamente da Proust) rifletteva sulla potenza dei nomi; Jackson vuole giocare con i soldatini giganti. 
Jackson ha quindi fatto due lavori: prima ha ricostruito il mondo tolkeniano e i suoi abitanti egregiamente (qui sta il suo merito! Incredibile come ci sia riuscito) e poi ha usato questa enorme "miniatura" (scusate l'ossimoro), questo enorme giocattolo, per giocarci! Non vi è mai capitato da piccoli di comprare le miniature di un cartone animato o di un film e di giocarci? Magari ripercorrevate le stesse scene imparate a memoria guardandole sullo schermo, ma ci mettevate del vostro, rimanendo fedeli e tradendo allo stesso tempo quelle storie. 

C'è poco da ridere Evangeline!
Ecco la Saga dell'Anello di Peter Jackson è un grande inno di un grande fan e amante dell'opera tolkeniana, ma è anche un grande gioco di un neozelandese nerd che si è gasato, direi inebriato di poter giocare (con i soldatini, appunto), inventare con quella materia derivante dalle opere tolkeniane. È una grande opera di ammirazione-imitazione. E noi altrettanto ammiratori di Tolkien godiamo del suo gioco non tanto per come "muove" le figurine, perché le muove in maniera diversa da quello letto nei libri, ma per le stesse figurine e gli ambienti costruiti, che ricalcano molto bene nel profondo e fedelmente ciò che si legge in Tolkien.

Ricapitolando. Jackson attua sull'opera mitologica tolkeniana due lavori:
1) REALIZZAZIONE (fisica e spirituale) DI TERRE, CULTURE E PERSONAGGI: bravo Peter, qui tu e i tuoi amichetti ci piacete assai! Non c'è dubbio, resa non scontata e superba! Grazie di cuore!
2) RICOPRIRE IL RUOLO DEL BURATTINAIO: ecco, qui, un po' meno... hai creato dei bellissimi giocattoli, ma li fai muovere a volte tradendo i testi e le intenzioni di chi li ha creati decenni fa con la propria mente, il caro buon vecchio Tolkien.

Al momento il mio giudizio sulle due parti si esprime vedendo come bene o male la fase 1 regga in entrambe le trilogie, anche se ritengo che ne Lo Hobbit abbiamo avuto una minore cura e fedeltà... In questi ultimi tre-cinque anni sembra che ci si sia preoccupati non tanto di accontentare i fan dei libri (dieci anni fa era facile e scontato visto che esistevano solo loro, dovendo iniziare la trasposizione cinematografica della Saga) ma i fan della trilogia precedente... ma si sa, la copia di una copia non fa una bella figura...
Ma qui mi fermo, non vado oltre! Anzi andrò al cinema per rendermi maggiormente conto come debba leggersi non solo la trilogia de Lo Hobbit ma l'intera saga.

Intanto, namaarie mellon!

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