venerdì 21 giugno 2013

Favola partigiana

Cadde la neve, copiosamente, accarezzando il Mondo, la terra contadina, con la sua antica ninna-nanna.
Cadde come mai cadde e come mai cadrà più. Gli uomini, infreddoliti da anni, si chiedevano se stesse cadendo anche per loro, ché tanto ormai desideravano la pace, desideravano la casa, o la moglie o la mamma.
Pure i fucili si domandavano se la neve stesse cadendo per loro; non che facesse differenza, oramai erano da tempo arrugginiti, ma trovavano comunque un loro piacere nel sentire la loro pelle di metallo esser toccata da un freddo ancora più freddo.
Le scarpe e gli scarponi erano solo rammaricati di rovinare quella coperta d’incanto, disegnando forme sul manto inviolato, strani nidi di ragno che si stagliavano sui campi.
Cosa pensasse la neve non lo so, era solo così dolce e quasi indifferente, come una mamma che culla il pianto, anche rosso, del proprio bimbo.
Anche la Morte si accorse del bianco evento e si distrò anch’essa per un poco a vedere la perfezione geometrica dei fiocchi di neve. Ma solo per un attimo.
La valle salutava la calma discesa bianca con i camini riluttanti di gonfi fumi bigi e neri. Tedeschi e Repubblichini erano nella valle e cercavano i “banditi”; l’improvvisa nevicata aveva rallentato le rappresaglie e c’era perfino tempo per riappropriarsi del pensiero. E non era facile rimanere indifferenti di fronte al mistero della pace della neve.
I “banditi”, come venivano chiamati, erano al corrente del male arrivato nella valle: la Morte aleggiava su quelle terre già prima della neve e li cercava, sembrava in certi momenti lì lì, alla porta, pronta a bussare o altre volte lontana, via dalla valle.
Si respirava il freddo che avvolgeva, come avvolgeva il miracolo bianco che da due giorni faceva la sua apparizione. Dentro la casa Cesco scriveva una lettera, il camino ovviamente non era acceso e le mani rosse bruciavano dal gelo. Scriveva a suo fratello: voleva sapere come stava la sua famiglia, ormai da mesi lasciata; e la sua Mimma, anch’ella riposta in uno scrigno protetto, sia in paese che nel suo animo, Mimma che stringeva a sé come se fosse oro e rubini. Tutti quei ricordi, quei volti, nostalgici e felici. Lontani.
Perché Cesco era lì? Perché salì sui monti e divenne partigiano? Perché lasciò tutti i suoi tesori per impugnare il fucile? Di sicuro la ragione principale fu per non impugnarne un altro, di fucile, arrugginito uguale ma ancor meno amato e più pesante: era stato chiamato all’armi dall’esercito della Repubblica Sociale. Ma come per tutte quelle decisioni che ti portano chissà dove e ti immergono in chissà quale situazione, la presenza di Cesco in Montagna era frutto dell’unione di scelte consapevolmente o meno volute e di interventi del Caso, che gira e fa girare le vite, i cammini, le strade degli uomini e i fiocchi di neve.
Attore o marionetta della Vita? Tutte e due, ma è sempre difficile definirne la misura.
“Vieni Cesco, prendi la tua roba, ce ne andiamo”, era la frase che da giorni temeva e gli arrivò da un suo compagno, entrato in casa con calma ma con risolutezza, mentre il foglio che aveva sottomano era ricoperto solo a metà. Lo piegò - “Mio caro Italo, ti scrivo e ti dico che io sto bene e che sono sempre felice di ricever notizie vostre…” - e se lo mise nella tasca della giacca, a contatto col cuore. La porta, aperta, fece entrare il gelo che era prima rinchiuso fuori, lo stesso gelo che trovò certo ad aspettarlo sotto la calma caduta bianca.
Il silenzio era compagno di viaggio indiscreto e raccontava loro come la valle si stava ricoprendo di neve immacolata. Cesco pensò a Dio, gli rivolse anche una preghiera, cosa che non faceva da anni: “Fa che non ci trovino, fa che possa rivedere Mimma, fa che…”, alzò il capo e vide nitidamente smettere di nevicare: l’incanto stava per finire, si ritornava dal sogno per ritrovare la realtà, per ritrovare la guerra.
Camminarono per ore, tutti e dodici, con zaini e fucili in spalla, qualcuno aveva anche una coperta sulle spalle, i più fortunati buoni scarponi. Ed ecco quel che non potevano immaginare sulla strada sterrata in fondo alla collina che ancora li protteggeva con la sua boscaglia: una camionetta di Repubblichini era bloccata, i suoi proprietari si affaccendavano a rimetterla in moto ma niente da fare: c’era bisogno di un meccanico e di meno neve sul terreno, impossibile su quelle montagne.
L’idea era bella e balzò in testa a tutti, subito: far fuori i repubblichini e prendersi il furgoncino, che forse portava o munizioni, o viveri, o chissà… tutti lo pensarono, ma non avevano il coraggio di saltar fuori dal fosso, scendere dalla collina mitragliando e compiere così l’impresa. Ad un certo punto Cesco prese la decisione e la prese come si prendono certe decisioni nell'ora del bisogno, senza pesare accuratamente i piatti della bilancia, senza sapere se era realmente attore o marionetta delle vicende. Saltò fuori e sparò ai repubblichini, scendendo giù con sì tanta rabbia da sfogare che sembrava un Achille contro i Troiani. E come Achille trascinava le schiere di Achei alla vittoria, così Cesco trascinò i suoi compagni giù dalla collina.
I corpi dei Fascisti impreparati erano a terra, caldi, riluttanti di sangue, stavano violando l’immacolato manto di quei giorni con il rosso del fratricidio, del paesano contro il paesano, dell’italiano contro l’italiano, dell’uomo contro l’uomo. Strana sensazione: sembrò di uccidere la neve con quel sangue su di essa.
Cesco si avvicinò alla camionetta e vide con stupore che non portava munizioni: portava la posta. Come a cercare un recondito nesso fra quelle righe e le sue portate al cuore, tirò fuori la sua lettera - “salutami tanto e con molto affetto Mimma, dille che la penso ogni giorno, dille che appena potrò la cercherò e ci vedremo…” - la teneva fra le dita, mentre il sangue gli colava sulla mano e mentre le urla dei suoi compagni si spegnevano; lo sapeva, ma non le sentiva, le percepiva ma le sue orecchie erano sorde. Cesco vide solo sé stesso trasformarsi in rigagnoli rossi cadere in terra: fece qualche passo, verso la bianca collina e in quel momento sentì nitidamente altri spari. Cesco capì che stava morendo, il suo sguardo calò giù col suo corpo, verso il bianco che lo avrebbe portato nel buio: la Morte aveva trovato di chi saziarsi e se la neve copriva il mondo, lei copriva la neve e gli uomini che la stavano abbracciando l’ultima volta.
E in quel momento ricominciò a nevicare, ancora una volta, dal cielo lontano, come se non fosse successo niente, con rinnovata e solita speranza di immacolare il mondo, ancora una volta, mai come quella volta, come tante volte succedutesi nell’ere degli uomini.

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