sabato 9 novembre 2013

Il 9 novembre tra muri e ponti che crollano



I ponti mettono in comunicazione le persone situate su due sponde. Partiamo da questa banalissima certezza. E non è tale solo da un sacrosanto punto di vista culturale e sociale: gli uomini costruiscono i ponti perché, come già scriveva Aristotele, non possono fare a meno gli uni degli altri. Quindi banalmente per il commercio, per raggiungere dei campi, una strada, delle fonti potabili... i ponti mettono in comunicazione le idee e le culture, ma anche le necessità e le risorse.

Quando il 9 novembre 1993 le truppe croato-bosniache abbatterono il Ponte Vecchio di Mostar, meraviglia costruita nel 1566 per ordine di Solimano il Magnifico, la popolazione musulmana di Mostar (e tutti coloro che avevano creduto in una convivenza pacifica) non ricevette solo un colpo psicologico, ma anche materiale: avevano perduto l'accesso all'acqua potabile, in una guerra in cui gli aiuti umanitari dell'ONU difficilmente riuscivano a raggiungere la loro destinazione perché bloccati dai diversi gruppi armati. Quel ponte era la sopravvivenza materiale di quella gente, prima di quella culturale e spirituale.
Prima dello scoppio della guerra, a Mostar la popolazione mussulmana e quella croata erano in percentuali pressapoco uguali: 34,8% quella mussulmana, 33,8% quella croata. I serbi erano in netta minoranza (19%)¹. Insomma, Mostar era croata tanto quanto fosse musulmana.
Nel 1993, mentre le tv di tutto il mondo erano concentrate soprattutto sulla capitale Sarajevo e sul confine con la Serbia, in questa altra parte del Paese si combatteva un'ulteriore guerra tra croato-bosniaci (appoggiati dall'allora governo croato, tanto quanto Milošević appoggiava Karadžić) e musulmani. La distruzione del Ponte Vecchio fu una rappresaglia dopo la conquista di diversi villaggi da parte delle truppe musulmane, in particolare quella della cittadina di Vares, saccheggiandola, con morti e distruzioni e con la fuga dei 12000 abitanti croati. Occhio per occhio. 

Tutto questo quando le principali potenze dell'epoca erano bloccate su come dividere la Bosnia-Erzegovina: da anni stavano discutendo su quanti cantoni la Bosnia doveva avere, sul metraggio dei confini tra un cantone e l'altro, sulle percentuali di popolazione aveva un determinato territorio per assegnarlo a una o un'altra zona... erano le discussioni del camaleontico Piano Vance-Owen. Mentre serbi, musulmani e croati si sparavano a vicenda per cambiare la composizione etnica delle città e delle vallate, le principali potenze internazionali discutevano a Ginevra o a New York, alimentate spesso da interessi geopolitici o di parte.

La storia ci ha consegnato il 9 novembre per un'altra epocale ricorrenza: l'abbattimento del Muro di Berlino. Dopo anni di Guerra Fredda, due Stati creati a tavolino per esigenze di equilibrio internazionale, finalmente ritornavano a unirsi per formare l'odierna Germania. Nel 1989 si abbatté un ostacolo alla riunificazione di famiglie, di una città, di una nazione. Quella stessa Germania, insieme a Francia, Regno Unito, USA e Russia pochi anni dopo si contendeva la sua fetta di egemonia in una zona strategica per l'intero continente: i Balcani.
Un muro che cade, un ponte che crolla. Quale azzeccata coincidenza ci ha regalato la storia! 

Forse questa data accoglie in sé questi due eventi proprio per questo motivo: per ricordare a noi europei che spesso siamo in gamba a enunciare principi e valori di pace, fratellanza e democrazia, ma quando si tratta di spostare lo sguardo sulla nostra periferia viene a mancare la volontà. I muri dentro casa sono per fortuna crollati, ora lasciano spazio a muri più alti e più ansiosi verso l'esterno.
Quali ponti stanno ancora crollando oggi? O meglio, quali "muri" stiamo ancora edificando, nel 2013? È normale ragionare di due sponde, quelle del Mediterraneo, parlando che una delle due debba essere "difesa"? Non è che alla base delle "attraversate della speranza" ci sia la stessa necessità che sta alla base di un ponte: vivere, rispondere a delle necessità essenziali?

Oggi il Ponte Vecchio di Mostar è stato mirabilmente ricostruito (un consiglio: se avrete mai l'opportunità di farlo, visitatelo) ed è, a fatica, nuovamente al centro della vita cittadina e turistica di questa città. La ricostruzione fisica ha avuto successo (anche grazie agli aiuti economici dell'Unione Europea), ma domandiamoci quanto lo abbia avuto quella spirituale. Mi piace pensare che forse sarebbe bello che energie, risorse e attenzioni vengano spese anche per la costruzione di un ulteriore ponte: quello che unisce l'Africa con l'Europa. Concretamente smettere di avere la sindrome da secolo XI quando Ungari, Mori e Normanni attaccavano l'Europa dall'esterno e proviamo a capire i meccanismi che hanno messo in moto questa nuova ecatombe per provare ad agire; prendiamo forse un po' più esempio dai romani del tardo Impero, quando si resero conto che era molto meglio integrare le popolazioni barbare invece che inutilmente respingerle. Da quell'integrazione, secoli dopo, è nata l'Europa medievale con i suoi regni, le sue lingue, le sue cattedrali, i suoi palazzi, i suoi pensatori e poeti: con la sua multiforme ricchezza. I ponti che vengono costruiti all'inizio solo per necessità, mettendo in contatto culture diverse, generano con il tempo un tipo particolare di ricchezza.

"Unità nella diversità". Ebbene sì, questo è il motto dell'Unione Europea. Tra i molti simboli di cui l'Unione si è dotata questo è tra quelli che preferisco. Non lasciamo però anche questo nel cortile di casa e gettiamolo oltre il muro, oltre l'ostacolo, nella periferia a noi vicina.


¹ Dati del censimento del 1991, S. L. Burg, P. L. Shoup, "The war in Bosnia-Herzegovina", M. E. Sharpe, New York, 2000

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